La scenografia di Alessandro Chiti è davvero bella e ricca: riproduce un ambiente domestico caldo e accogliente. Una grande cucina in noce a vista con tavolo e sgabelli, un salotto centrale composto da divano e poltrona colorati, una libreria e sullo sfondo un’ampia vetrata che lascia intravedere delle piante e uno stendino. Dal soffitto pendono dei bellissimi lampadari moderni.Le scene, poi, stupiscono, rivelando altri due ambienti grazie all’uso di pedane girevoli: la cucina ruota lasciando spazio allo studio di Giulio, mentre un’altra pedana nasconde il salone per dare spazio alla piccola stanza/studio in cui Serena si è ritirata.
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Le meravigliose scenografie di Alessandro Chiti, ricche, eleganti e curate, ricreano la città di Pechino e il Palazzo Reale (c’è anche un melo incantato) grazie all’uso di un impianto fisso e varie strutture mobili…
Alessandro Chiti ammette quanto sia stato difficile scegliere che tipo di scene fare perché Turandot è una storia che è stata rappresentata milioni di volte in modi e contesti diversi. La scelta finale è stata quella di uno stile elegante, creando una scatola magica dove accadono tante cose e che vive molto con le proiezioni.
La scenografia di Alessandro Chiti è davvero funzionale: disposta su due livelli, è spogliatoio, ma anche prigione e stanza delle torture…
…una interessante ideazione dell’allestimento scenotecnico di Alessandro Chiti. Per restituire agli spettatori l’atmosfera del road movie, i protagonisti, Bruno (Giuseppe Zeno, nel ruolo che fu di un indimenticabile Vittorio Gassman al cinema) e Roberto (personaggio interpretato sullo schermo dall’attore francese Trintignant ed ora da Luca Di Giovanni), percorrono il loro viaggio sulla Lancia Aurelia B24 da Roma alla Toscana attraverso strade e scenari in bianco e nero proiettati su una sorta di doppio sipario che, di volta in volta, si apre e si chiude svelando ambientazioni diverse…
Chiti, cos’è la scenografia?‘Un’arte: un lavoro di creatività, inventiva, mediazione e capacità organizzativa; solo chi lo vive, può conoscerne l’effettiva, incredibile complessità, fatta di un eclettismo professionale non facile da comprendere, vedendo la nuda messa in scena. Dietro una scenografia non c’è mai soltanto la rappresentazione immobile di un ambiente; al contrario c’è la vita del teatro stesso. Spesso un dettaglio, un oggetto, un movimento, porta con sé un mondo e conduce il pensiero e la fantasia a dare credibilità alla stessa azione teatrale, viaggiando con la mente e l’emozione fra quello che si vede e quello che si può immaginare’.
Un’arte che oggi è in pieno marasma…
‘Purtroppo è una ‘professione’ che rischia di scomparire: i ‘nuovi produttori’ sovente non sanno nemmeno cosa vuol dire scenografia e scenografo. Una scena è ingombrante; realizzarla ha un costo, costa maneggiarla, trasportarla e gestirla, persino rottamarla! Il nostro teatro è sempre più ‘povero’ di scenografie, ma ‘ricco’ di attori monologanti. Nessuno nota differenze se ‘il Divo’ interpreta uno spettacolo usando solo una sedia o circondato da una scena ricca di invenzione, atmosfere, significati’.
Cosa si sente allora di rispondere a un giovane che le chiedesse un consiglio?
‘È successo spesso. Anche oggi cercherei dapprima di dissuaderlo, per poi dirgli: se hai una vera motivazione vai avanti, le difficoltà che incontrerai potranno essere superate solo con una grande determinazione e anche un po’ d’umiltà nell’accettare i compromessi’.
Le scene di Alessandro Chiti che fanno da sfondo alle vicende del ghetto si alternano a quelle in cui il dittatore, animato da narcisismo ed autocompiacimento, si fa ritrarre tanto da uno scultore quanto da una pittrice nell’atto di trastullarsi con un mappamondo, metafora della politica aggressiva concepita dallo stesso. L’idea di colorare di grigio l’intero impianto permette di far risaltare maggiormente i singoli quadri di cui si compone la commedia. Il palco è totalmente occupato da un’enorme svastica, o meglio dalla doppia croce accoppiata, che ruota su se stessa diventando ora la bottega del barbiere, ora il sontuoso ed asettico palazzo del dittatore, per poi trasformarsi nel ghetto, nella prigione, nel balcone da cui il leader arringa la folla pronta ad accogliere con entusiasmo le folli intenzioni di un visionario.
La scena, dalle tinte diafane, tendenti al bianco e che si colorano a seconda delle situazioni, rappresenta a un tempo la grotta di Prospero, la nave che naufraga assieme a Sebastiano, Alonso e all’equipaggio, e l’isola dove i due spiriti Ariel e Calibano vivono da sempre. Non vi è distinzione di spazi per l’occhio dello spettatore. Certamente egli è in grado di ravvisare in un certo momento della rappresentazione in qual luogo ci si trovi. Ma lo vive come un tutt’uno, senza separazioni. E quando, in conclusione d’opera, ecco emergere la nuda struttura del palco, un senso di disagio s’intuisce serpeggiare fra la platea. Perché? Non per il termine d’un’illusione, ma perché la quotidiana realtà – o ciò che crediamo per tale – è stinta e banale rispetto a quanto immaginiamo essere sola chimera.
…Una sorta di rituale, consumato in un’elegante camera da letto in fuga, tutta dai differenti colori verdi, architettata da Alessandro Chiti, in modo che sulle due quinte possono ammirarsi le gigantografie di due donne, una supina che fuma l’altra nuda accovacciata, separate (le due quinte) da una porta centrale che diventa pure un grande specchio, mentre tutto il palcoscenico è un tappeto di fiori bianchi. ..
La scena, dalle tinte diafane, tendenti al bianco e che si colorano a seconda delle situazioni, rappresenta a un tempo la grotta di Prospero, la nave che naufraga assieme a Sebastiano, Alonso e all’equipaggio, e l’isola dove i due spiriti Ariel e Calibano vivono da sempre. Non vi è distinzione di spazi per l’occhio dello spettatore. Certamente egli è in grado di ravvisare in un certo momento della rappresentazione in qual luogo ci si trovi. Ma lo vive come un tutt’uno, senza separazioni. E quando, in conclusione d’opera, ecco emergere la nuda struttura del palco, un senso di disagio s’intuisce serpeggiare fra la platea. Perché? Non per il termine d’un’illusione, ma perché la quotidiana realtà – o ciò che crediamo per tale – è stinta e banale rispetto a quanto immaginiamo essere sola chimera.
La scenografie di Alessandro Chiti sono arricchite da quattro schermi circolari, sulla falsariga dei concerti dei Pink Floyd, che ci permettono di ripercorrere l’esperienza umana e professionale della più grande icona pop di sempre, l’indiscusso The King of Rock’n’Roll.
L’allestimento scenico di Alessandro Chiti è stilisticamente coinvolgente. Non è semplicemente funzionale alla storia, anche se assolve egregiamente tale compito, ma conquista anche per un valore a sé. C’è differenza tra una bella scenografia e una scenografia artistica: quella di Chiti appartiene al secondo caso. L’elemento predominante, che incornicia l’arco scenico e ritorna anche negli elementi mobili, è un intreccio vegetale stilizzato: che siano rami o, più simbolicamente, rovi, è lasciato all’interpretazione. La cornice può ricordare vagamente il sapore di una vetrata tiffany, dove le sottili linee di piombo contornano e uniscono i disegni creati dai vetri, e infatti tale elemento prende colori diversi di volta in volta, assorbendo quelli delle luci di scena, spesso usate – dal lighting design di Alessandro Velletrani, in funzione psicologica: Gothel, per esempio, è spesso caratterizzata dalla luce rossa.
D’effetto e tutt’altro che banale anche il movimento delle scenografie, che non segue il tradizionale uso dei girevoli, ma inventa qualcosa di più particolare.
Una scenografia visionaria e moderna, curata da Alessandro Chiti, con i costumi di Riccardo Cappello, racchiude la vicenda in una stanza con tutto l’occorrente per un anziano sofferente, soffermandosi su “Tu”, il protagonista, ovvero un figlio, stanco e esasperato e che assiste l’anziana madre, malata di demenza senile, distesa sul letto dove poi morirà.
Tutto si svolge nella locanda di Castel del Frate, rappresentata dalla (sempre) bellissima scena di Alessandro Chiti, dettagliata, elegante e d’atmosfera. Tra legno scuro, tendaggi, poltroncine di velluto, arredi d’epoca e il fuoco di un caminetto, siamo nel salotto principale di una bella dimora inglese di fine anni Quaranta. Le scale portano al piano superiore e le tante porte agli altri ambienti, mentre un’ampia vetrata al centro lascia vedere la neve fuori sempre più alta.